Belle (竜とそばかすの姫, Ryū to Sobakasu no Hime, letteralmente “Il drago e la principessa con le lentiggini”) è un lungometraggio scritto e diretto da Mamoru Hosoda (細田 守 ; Toyama, 19 settembre 1967).

Ryū to Sobakasu no Hime è stato presentato in anteprima assoluta il 15 luglio del 2021 alla settantaquattresima edizione del Cannes Film Festival, dove l’ultima fatica di Hosoda è stata decisamente apprezzata sia dalla critica internazionale che dal pubblico presente all’evento, tanto da ricevere una standing ovation durata circa quattordici minuti alla fine della sua proiezione.
Il giorno successivo al succitato evento (il 16 luglio 2021), Ryū to Sobakasu no Hime viene rilasciato nelle sale giapponesi, riscuotendo un ottimo successo, diventando il terzo film giapponese con il maggior incasso del 2021, con 6,53 miliardi di yen nelle classifiche al botteghino.
Nei primi mesi del 2022 il lungometraggio viene rilasciato nelle sale cinematografiche occidentali.

Come per tutte le recenti opere di Hosoda, anche Ryū to Sobakasu no Hime è stato realizzato e prodotto dallo Studio Chizu, di cui il regista ne è fondatore e proprietario. Tuttavia nella produzione di Belle sono presenti delle collaborazioni con artisti e studi di animazione esterni, non solamente allo Studio Chizu, ma all’industria animata giapponese.

Sinossi

 Il film segue le vicende di Suzu, una studentessa liceale di 17 anni che, orfana di madre, vive col padre in un villaggio rurale nella prefettura di Kochi nel quale la ragazza si sente prigioniera. Un giorno Suzu entra in “U”, una realtà virtuale di cinque miliardi di membri online, nella quale può fare finalmente ciò che ama e che non fa da quando è morta la madre: cantare. Suzu diventa Belle, una cantante che presto acquisisce fama mondiale. Belle incontra presto un drago misterioso con il quale intraprende un viaggio ricco di avventure e amore alla ricerca di se stessa e di cosa vuole diventare.

(estratto da animeclick.it)

Commento Critico

Ryū to Sobakasu no Hime è un film d’animazione molto particolare, che va ad occupare un posto fondamentale nella carriera di Hosoda. Per alcuni aspetti è un progetto estremamente innovativo, sono molte infatti le scelte lavorative e soprattutto artistiche del tutto nuove al suo repertorio. Allo stesso tempo Ryū to Sobakasu no Hime è talmente legato ai precedenti film (ad uno in particolare) del regista da provocare nello spettatore un forte senso di déjà-vu.

Sembra insensato quanto ho appena scritto. Come nello spirito di Hana Ga Saita Yo, e come abbiamo abituato i nostri lettori, farò una disanima il più accurata possibile di questa ultima opera di Hosoda, nella speranza che comprendiate il controsenso, il paradosso presente nelle parole di questa mia introduzione.

La “Belle” e la Bestia

Inizio questo paragrafo scrivendo un’ovvietà: Ryū to Sobakasu no Hime è sostanzialmente la reinterpretazione in chiave moderna della fiaba de La bella e la bestia, filtrata attraverso la personalissima visione di Hosoda. Inutile elencare gli innumerevoli riferimenti a quest’ultima, talmente palesi da risultare impossibile non coglierli già alla prima visione del film; basti pensare al nome scelto per l’identità virtuale della protagonista, Belle. Più ovvio di così…

Con questo paragrafo voglio invece soffermarmi sul modo in cui Hosoda si è rapportato alle varie incarnazioni di questa fiaba secolare: da quella di Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve considerata da molti come la versione originale (o comunque la prima edita), a quella più famosa di Jeanne-Marie Leprince de Beaumont, fino alla versione animata realizzata dalla Disney nel 1991, diretta da Kirk Wise e Gary Trousdale, con sceneggiatura di Linda Woolverton.

Iniziamo dall’aspetto più immediato, di maggiore impatto: il comparto visivo. Come ho già accennato nell’introduzione a questo articolo, Ryū to Sobakasu no Hime non è stato interamente realizzato dallo Studio Chizu, per la prima volta infatti Hosoda ha collaborato con figure esterne, non solo al suo studio, bensì all’industria d’animazione giapponese.

Jin Kim, l’esperto character designer Disney, è stato lui a realizzare Belle, la protagonista del titolo, una cantante virtuale che dimora nel vasto mondo online noto come “U”.

Inoltre, lo Studio Chizu di Hosoda ha annunciato che sta lavorando al film con Cartoon Saloon, lo studio irlandese dietro Wolfwalkers nominato all’Oscar. I registi di Wolfwalkers, Tomm Moore e Ross Stewart “porteranno i loro talenti in tavola insieme a Mamoru Hosoda per creare un mondo mai visto prima” nel film. Un portavoce dello Studio Chizu ha confermato che Cartoon Saloon lavorerà su “sfondi artistici per il mondo di U”.

(estratto da cartoonbrew.com)

Questa è una delle novità assolute a cui mi riferivo qualche rigo fa. Affidare il design della protagonista a una figura esterna, per quanto esperta e illustre come quella di Jin Kim, non è certamente cosa da tutti. Questo fatto evidenzia la decisa volontà di Hosoda nel rievocare, fare riferimento, omaggiare la versione animata de La bella e la bestia realizzata dalla Disney esattamente trent’anni prima.

Per quanto riguarda invece l’aspetto narrativo, Ryū to Sobakasu no Hime si distacca molto dalla versione Disney, e di conseguenza da quella di Jeanne-Marie Leprince de Beaumont dalla quale quest’ultima è tratta. È esattamente per questo motivo che ad inizio paragrafo ho citato la versione originale di Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve, non per riempire l’articolo di informazioni superflue, bensì perché reputo che il film di Hosoda abbia molto in comune con quest’ultima. Vado ad argomentare.
La principale differenza tra la versione della Villeneuve e della Beaumont (e di conseguenza quella della Disney) risiede nell’approfondimento dei personaggi. La versione originale della Villeneuve è molto più estesa, la scrittrice si sofferma infatti sul passato e le origini dei due protagonisti, con lo scopo di realizzare una metafora della società del suo tempo, un’aspra critica alle numerose problematiche che soprattutto le donne del tempo erano costrette ad affrontare. D’altro canto, nella versione della Beaumont tutto ciò viene omesso o modificato per rendere la storia più “semplice” e di conseguenza adatta ad un pubblico di giovanissimi.

Forse avrete già intuito il ragionamento che sto per descrivere. La storia di Ryū to Sobakasu no Hime può essere facilmente suddivisa in due parti. Una ovviamente è la rivisitazione della versione “disneyana” de La bella e la bestia, vale a dire tutto ciò che accade nel mondo virtuale di U, d’altronde Belle esiste solamente lì. L’altra parte invece è quella ambientata nella realtà, dove vengono raccontate le vite di Suzu e di Kei, il difficile rapporto con i loro rispettivi padri, i loro problemi adolescenziali, il loro tragico passato… in una manciata di parole: l’origine dei protagonisti di questa storia. Esattamente come La bella e la bestia di Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve, anche Ryū to Sobakasu no Hime non è solamente una fiaba per bambini, ma è una storia che fa riflettere lo spettatore su molti aspetti della vita odierna, e non tutti sono positivi, anzi.

Ardire, o non ardire, questo è il dilemma

Il primissimo dubbio che crebbe in Hosoda durante il processo creativo di Ryū to Sobakasu no Hime riguardò il genere dell’opera. Essendo fortemente ispirato al film della Disney de La bella e la bestia (come ho già sottolineato nel paragrafo precedente), l’intenzione iniziale del regista era quella di ricreare un lungometraggio del medesimo genere, vale a dire un musical. Viene spontaneo chiedersi quale sia e dove sorga il problema in tutto ciò. È il regista a spiegare i motivi del suo dilemma, e come eventualmente è riuscito a superarlo, in un’intervista rilasciata al magazine NEO:

Hosoda inizialmente voleva che Ryū to Sobakasu no Hime fosse un musical, ma considerò l’idea di difficile realizzazione in quanto in Giappone non c’è una cultura cinematografica per i musical. Tuttavia, volle comunque che l’aspetto musicale fosse al centro del progetto, quindi cercò per la voce della protagonista un’interprete che sapesse cantare. Aggiunse inoltre di preferire un profilo del genere in quanto avrebbe reso tutto più convincente, una cantante che potesse esprimere i propri sentimenti attraverso la musica e raggiungere così il cuore del pubblico, anche di chi non comprende il giapponese. La scelta del regista ricadde su Kaho Nakamura, relativamente sconosciuta e inesperta nell’industria dell’animazione, ma una scelta perfetta per il ruolo. Hosoda dichiarò infine che Nakamura fu anche coinvolta nella scrittura dei testi delle canzoni del film, in modo così che potesse sentire suoi i testi che sarebbe andata a cantare.

Osmond, Andrew (January 18, 2022). “Mamoru Hosoda Talks Belle”. NEO. No. 216. pp. 42, 44.

Questo è uno degli aspetti innovativi di cui parlavo nell’introduzione a questa analisi. Hosoda ha voluto proporre un musical, o comunque un film che possedesse molte delle caratteristiche tipiche di questo genere, ad un pubblico che non è abituato e che non ha cultura per i musical (ovviamente per un regista nipponico il pubblico di riferimento resta quello giapponese). Un salto nel vuoto che ha però ripagato il regista, dato gli incassi registrati al botteghino da Ryū to Sobakasu no Hime, come ho già accennato nell’introduzione dell’articolo.

Nell’intervista emerge inoltre un’altra scommessa vinta da Hosoda, vale a dire la scelta dell’interprete di Suzu/Belle. Sappiamo tutti che il mondo del doppiaggio in Giappone è particolarmente florido e competitivo (in ogni accezione del termine), scegliere quindi la cantautrice pop/indie Kaho Nakamura, totalmente estranea all’industria d’animazione giapponese, è stata senza dubbio una scelta coraggiosa da parte di Hosoda. Tengo a sottolineare il fatto che il quest’ultimo ha affidato a Kaho Nakamura il ruolo della protagonista del film, e non di un personaggio secondario con un esiguo numero di battute.
Anche in questo caso l’intuizione di Hosoda si è rivelata decisamente vincente. Difatti, Kaho Nakamura ha offerto un’interpretazione molto convincente. Ma è nelle parti cantate che la Nakamura ha brillato, dubito fortemente che qualcuno sia riuscito a restare impassibile durante la scena finale dove intona quel “la-la-la-la” così semplice ma così carico di sentimento.

È soprattutto questa la bravura di un regista, fare scelte azzardate seguendo la propria visione artistica.

Mondi virtuali : da Oz a U

Qualche rigo fa, ho affermato come in Ryū to Sobakasu no Hime è possibile percepire un forte senso di déjà-vu. Oltre alla reinterpretazione de La bella e la bestia sulla quale ho già speso molte parole, c’è un altro elemento che mi viene naturale definire un “cliché”, un qualcosa di già visto, insomma. Chi conosce l’operato di Mamoru Hosoda, avrà già intuito l’argomento che andrò a trattare in questo paragrafo.

In Summer Wars, il secondo lungometraggio scritto e diretto da Hosoda, lo svolgimento della trama si divide tra il mondo reale e quello virtuale, esattamente come avviene in Ryū to Sobakasu no Hime. Tuttavia, quella che può sembrare una mancanza di inventiva e d’originalità da parte di Hosoda rappresenta invece uno dei punti centrali dell’intera opera.

Il modo più semplice per spiegare questo concetto è partire dai nomi scelti dall’autore per i due mondi virtuali. In Summer Wars viene chiamato “Oz”, mentre in Ryū to Sobakasu no Hime è denominato “U”.

Il nome “Oz” è ispirato ovviamente al romanzo Il meraviglioso Mago di Oz di F. Baum. L’intento di Hosoda in Summer Wars è quello di proporre un parallelo tra il mondo del Web e la Città di Smeraldo del romanzo. Nel Web abbiamo la possibilità di creare un nostro avatar virtuale, con l’aspetto e la personalità che vogliamo, in breve, possiamo essere chi non siamo veramente. Un po’ come gli occhiali con le lenti verdi che il Mago di Oz obbliga a far indossare ai cittadini (e ai visitatori) in modo da far credere a tutti che la sua città sia fatta di smeraldo e non di vetro. Il Mago di Oz crea un’immagine distorta della realtà, impone la sua visione del mondo ai suoi cittadini per proteggere la sua identità e soprattutto la sua autorità. La Città di Smeraldo come metafora del Web, un mondo illusorio, ingannevole, dove è possibile incontrare persone che probabilmente non sono chi dicono di essere.
Nonostante ciò Hosoda non desidera trasmettere allo spettatore un messaggio negativo attraverso Summer Wars, tutt’altro, vuole evidenziare l’importanza dei valori come il rispetto verso il prossimo, l’abnegazione e l’altruismo… valori che debbono però essere prima ricercati nella realtà, debbono essere la base fondamentale di ogni comunità e di ogni famiglia, solo così è possibile creare un mondo virtuale dove gli utenti non hanno paura di nascondere chi sono veramente, un luogo dove è possibile sentire il calore umano e non il freddo riflesso distorto di una città di vetro.

In Ryū to Sobakasu no Hime il mondo virtuale viene invece chiamato “U”, pronunciato all’inglese (quindi “ju:”), pronuncia condivisa dal pronome “you”, tant’è che nel gergo di Internet “you” viene spesso abbreviato scrivendo la sola vocale “u”.
Un mondo virtuale quindi denominato “Tu”, un luogo dove ognuno può essere se stesso, dove può esprimere liberamente il suo pensiero e la sua personalità senza aver timore di ciò che pensano gli altri. L’esempio lampante di quanto ho appena scritto è la protagonista di Ryū to Sobakasu no Hime, Suzu inizialmente è una ragazza estremamente introversa e per questo non riesce a cantare in presenza di altre persone nonostante sia la sua più grande passione, ma grazie al mondo virtuale di “U” riesce a superare questo suo limite psicologico, tanto da riuscire a cantare davanti ad un pubblico di milioni di utenti. “U” è quindi un mondo che aiuta le persone a superare le loro paure e ansie sociali, un luogo nel quale sentirsi accettati dagli altri. O almeno questa è la filosofia alla sua base.
Purtroppo anche “U”, come il mondo virtuale di “Oz” raccontato in Summer Wars, non è un’oasi felice. È lo stesso autore a spiegarne il motivo in un’intervista al magazine Vulture:

Quando ho lavorato a Digimon Adventure nel 2000, Internet era utilizzato principalmente dai giovani ed era una specie di nuova frontiera piena di possibilità, quindi abbiamo scelto di rappresentarlo come un grande spazio bianco e aperto. Quando ho realizzato Summer Wars, aveva una tavolozza di colori più calda e vibrante poiché più persone hanno iniziato a partecipare e utilizzare Internet. Con Belle, ho visto come tutti hanno iniziato a utilizzare i social media e Internet in generale per connettersi tra loro, non solo i giovani. Internet è diventato molto più vicino alla realtà, quindi volevo che sembrasse un mondo completo. Abbiamo progettato U con molti edifici alti per dare un senso di oppressione. Non c’è sinistra o destra o su e giù, quindi ha questa misteriosa sensazione di metropoli per mostrare quanto le persone hanno contribuito a questo spazio e quanto è arrivato a riflettere il mondo reale, incluso il male. Il trolling è un grosso problema nella società giapponese, quindi la sfida era realizzare un film che rimanesse positivo e pieno di speranza sul futuro di Internet nonostante tutti i suoi problemi.

Mamoru Hosoda, intervista a vulture.com

Il mondo virtuale di “U” alla fin fine è soltanto un’evoluzione di quello di “Oz” descritto in Summer Wars, con le stesse potenzialità e purtroppo anche con le stesse problematiche. Tuttavia, Hosoda resta speranzoso sul futuro di Internet.

La voce della speranza

Ho concluso il precedente paragrafo parlando della speranza che Hosoda ripone nel futuro di Internet, nonostante le innumerevoli problematiche che lo affliggono. Per il regista il Web non è sicuramente un paradiso, ma secondo lui la criticità maggiore risiede nel comportamento di alcune persone, mi correggo, di una grande parte dell’utenza.
Sempre nell’intervista rilasciata al magazine Vulture citata precedentemente, il regista approfondisce il motivo della sua preoccupazione:

Una delle cose più interessanti di Internet è che tutti credono di avere ragione. Non c’è spazio per dubitare di se stessi. Forse non è un fenomeno esclusivamente di Internet, ma dell’umanità in generale, soltanto che Internet lo sta ingrandendo ancora di più. Poiché non c’è polizia su Internet, alcune persone credono di essere poliziotti, come Justin, che ha anche trovato un modo per ricavarne un guadagno economico. È un personaggio molto americano, come Gaston ne La bella e la bestia della Disney. Quel film è ambientato in Francia, ovviamente, ma Gaston è chiaramente un personaggio americano, un’autocritica degli Stati Uniti. Volevo fare la stessa cosa con Justin in Belle, e cosa c’è di più americano oggi di un supereroe?

Mamoru Hosoda, intervista a vulture.com

La dichiarazione di Hosoda non necessita di ulteriori spiegazioni, è auto-esplicativa. Il Web è popolato da persone che non dubitano di se stesse, che pensano di aver sempre ragione, che si autoproclamano paladini della verità e della giustizia. Ma cos’è che dona loro tutta questa sicurezza e altezzosità? L’anonimato. La possibilità di avere un avatar virtuale con il quale poter essere, o meglio, far credere agli altri di essere chi non si è o chi si vuole essere.
Continuando a fare riferimenti al romanzo di F. Baum, le persone su Internet utilizzano la propria identità virtuale come il Mago di Oz, vale a dire un cialtrone che governa la Città di Smeraldo ingannando i suoi abitanti. Oltre all’episodio degli occhiali verdi già citato nel precedente paragrafo, forse risulta maggiormente emblematico quello in cui il Mago di Oz riceve nel suo palazzo Dorothy e i suoi compagni di viaggio e appare loro con forme differenti (una testa, una donna, un mostro e una palla infuocata) in modo così da mantenere l’anonimato e soprattutto facendo credere loro di essere un potentissimo mago originario del mondo di OZ, e non un semplice ventriloquo proveniente dal Nebraska.


Il personaggio di Justin in Ryū to Sobakasu no Hime è anch’egli un cialtrone, crede di essere l’incarnazione (virtuale) della giustizia, tanto da ergersi a rappresentante dell’intera umanità, anzi come dice Hosoda stesso, crede di essere un supereroe, quando con ogni probabilità nel mondo reale possiede anche meno autorità di un ventriloquo del Nebraska.
Justin rappresenta l’esatto contrario di quello che vuole far credere, diffonde odio invece di giustizia. Il mondo virtuale di “U”, come ho già spiegato, si chiama così proprio per spronare le persone ad essere se stesse, mentre Justin predica l’uniformità di pensiero e di espressione. Per di più, come fa notare Hosoda nell’intervista qui sopra riportata, ne trae anche guadagno economico attraverso degli sponsor, dettaglio sul quale si potrebbe aprire un’enorme parentesi sull’incontrollato giro di soldi che riguarda alcune tipologie di forme di intrattenimento e di informazione tipiche del Web.
Ovviamente la caccia alle streghe di Justin trova il suo principale capro espiatorio nell’avatar virtuale di Kei, il Drago. Justin, invece di cercare di comprendere il comportamento ribelle e aggressivo di quest’ultimo dovuto ai maltrattamenti che subisce nella realtà (le cicatrici che si accumulano sul suo mantello), lo perseguita come fosse il peggior criminale della storia dell’umanità.
Ed è esattamente questa la problematica più preoccupante di Internet secondo Hosoda, le persone come Justin che nel mondo virtuale si sentono dei supereroi, che pensano di essere sempre nel giusto, che cercano di imporre la loro visione del mondo agli altri senza aver alcun diritto di farlo, persone insomma che calpestano il pensiero altrui, che non mostrano alcun buon senso.

Nonostante quanto appena descritto, Hosoda ha fiducia e speranza nel futuro di Internet:

Penso che sia difficile, ma voglio che i giovani non si sentano sconfitti dal cyberbullismo e dal trolling e continuino ad esprimersi e trovare la forza per cambiare se stessi e la società, motivo per cui ho inventato il personaggio di Belle. Nel film, Suzu è una ragazza tranquilla senza fiducia in se stessa. Ma il suo alter ego online, Belle, è l’esatto opposto e ha un effetto su Suzu nella vita reale: le dà la forza di proteggere le persone nel mondo reale. Quindi voglio mostrare Internet non come un luogo negativo, ma un luogo dove scoprire se stessi e trovare speranza.

Mamoru Hosoda a vulture.com

Il gesto che compie Suzu nel finale del lungometraggio racchiude tutto il pensiero di Hosoda su come Internet dovrebbe essere utilizzato dalle persone. La protagonista grazie al mondo di “U” riesce a superare la sua paura di cantare davanti a un pubblico, ma è soltanto un’illusione data dall’anonimato del suo avatar virtuale. Soltanto nel finale Suzu riesce a superare veramente la morte di sua madre quando, per poter salvare Kei e suo fratello dalle molestie del padre, decide di spogliarsi della maschera di Belle. Un passo difficile da fare, ma Suzu non è sola, ci sono milioni di utenti che la sorreggono, la sua voce ha toccato le corde dell’anima di tutti gli utenti di “U”.
Questo è come Internet dovrebbe essere secondo Hosoda. Il regista spera che il buon senso e l’altruismo prevalgano su comportamenti distruttivi come cyberbullismo e trolling (per citare le sue stesse parole), sa benissimo che il problema non è il Web ma gli utenti che lo popolano; ma come ci hanno insegnato gli anime e i manga nel corso del tempo, sono le persone che fanno la differenza quando si impongono uno scopo comune. Insieme si può superare qualunque ostacolo.

In conclusione

Ryū to Sobakasu no Hime è un progetto decisamente singolare. Un film che guarda al futuro ma allo stesso tempo è fortemente legato al passato di Hosoda. Difatti da un lato si distacca molto dai suoi ultimi lungometraggi (ricordo che con Ōkami Kodomo no Ame to Yuki il regista aveva cominciato il cosiddetto “ciclo familiare” conclusosi con il film Mirai no Mirai rilasciato nel 2018), dall’altro lato invece riprende la tematica centrale di Summer Wars, il suo secondo lungometraggio.

Inoltre Ryū to Sobakasu no Hime è probabilmente il film più “commerciale” di Hosoda, o per meglio dire, indirizzato ad un pubblico il più vasto possibile. Allo stesso tempo, paradossalmente, è il lungometraggio più innovativo del regista, per i motivi già sottolineati in questo articolo: le collaborazioni con artisti internazionali, il rischio di realizzare un musical e di assegnare il ruolo della protagonista a una novellina nel campo dell’animazione/doppiaggio.

Detto questo, Ryū to Sobakasu no Hime è un progetto indubbiamente riuscito, e non mi sto riferendo al solo incasso al botteghino. Un film destinato a tutti, giovanissimi e adulti, giapponesi e occidentali, che tratta una tematica globale molto delicata come il rapporto società-Internet, e che cerca di trasmettere un messaggio tanto diretto quanto importante: avere buon senso. Tutto ciò raccontato delicatamente, come la favola dalla quale il film è tratto, e soprattutto come ci ha abituato Hosoda. Portare un po’ di luce in tempi a dir poco bui (l’immagine qui sopra l’ho scelta appositamente per questa frase).

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